Da Assemini a Londra, appena diciannovenne, con una valigia piena di sogni e tanta voglia di fare buona musica. Le collaborazioni con Craig David, Tom Jones, Camila Cabello e altri artisti internazionali. In seguito, arriva la grande occasione del Festival di Sanremo, dove debutta nel 2022 come direttore d’orchestra e autore. A 33 anni, è già alla terza esperienza sanremese. Una carriera in costante ascesa, quella di Luca Faraone che, dopo l’esordio di martedì, stasera dirigerà l’orchestra per Shablo feat. Guè, Joshua e Tormento; c’è anche il suo nome tra gli autori de “La mia parola”. Ma il compositore asseminese per l’edizione 2025 ha fatto le cose in grande e ha collaborato anche alla realizzazione de “Il ritmo delle cose” di Rkomi e “Damme ‘na mano” di Tony Effe.
Isola Online 24 ha raccolto le sensazioni del musicista sardo a poche ore dalla terza serata del Festival che lo vedrà tra i protagonisti.
Luca, parlaci dell’emozione provata durante la prima serata del Festival 2025.
Come sempre accade quando sono su un palco, non ero emozionato. Non provo mai ansia o paura. Nemmeno a Sanremo, anche se un certo timore sarebbe del tutto giustificato. Fin da bambino, avendo iniziato a esibirmi a 4-5 anni, ho vissuto il palco come un ambiente familiare, una zona di comfort. Per me è sempre stato naturale e piacevole, non ho avuto bisogno di acquisire sicurezza col passare degli anni. Anche all’interno di eventi importanti mi sento a mio agio, divertito e tranquillo, senza quella tensione che molti altri artisti descrivono. E devo dire che la mia tranquillità viene molto apprezzata dai professionisti che lavorano con me.
Hai notato delle differenze tra i Festival diretti da Amadeus e quello targato Conti?
Ho partecipato a due Festival di Amadeus e questa è la mia prima esperienza con Carlo Conti, quindi non ho ancora abbastanza elementi per confrontarli. Finora tutto è filato liscio, non ho notato grandi differenze tra i due. Carlo Conti ha dimostrato grande interesse artistico ed è stato presente alle prove così come in passato lo era Amadeus. Entrambi sono professionisti di alto livello che trasmettono serenità all’ambiente. Con nessuno dei due ho mai avvertito stress, nonostante il contesto caotico potrebbe far pensare il contrario.
Cosa rappresenta per te il Festival? Lo vedi più come un punto di arrivo o come un punto di (ri)partenza?
Per me è sempre un punto di partenza. Ogni Festival a cui partecipo rappresenta l’inizio di nuove opportunità. È il luogo in cui siamo tutti riuniti: c’è una grande rappresentanza di artisti, produttori, compositori, addetti ai lavori, stylist, radio, TV e case discografiche. È un’occasione unica per incontrarsi, stare insieme e creare nuove connessioni. Bellissimo.
Cosa ti hanno lasciato le due precedenti esperienze sanremesi?
Sono state due esperienze incredibili che mi hanno lasciato tanta voglia di rifare il Festival. Per me quella di Sanremo è la settimana più bella dell’anno. Se ci fosse la possibilità, parteciperei a tutte le edizioni.
Al di là delle tue partecipazioni, ti è mai capitato di percepire il Festival come un evento vecchio, al tramonto?
No, perché si rinnova continuamente grazie ai direttori artistici che si susseguono, ai nuovi artisti, alle scelte televisive. È ben organizzato, funziona bene, come una grande macchina ben oliata. È perfetto, altroché!
Cosa pensi del giudizio dell’Accademia della Crusca sulle canzoni del Festival?
È giusto che tutti possano esprimere la propria opinione, quindi non la considero un’invasione di campo. Personalmente non l’ho percepito come un vero e proprio giudizio, ma come l’opinione di un’istituzione. Ai fini dell’andamento della gara e del gradimento dei brani, è poco rilevante e personalmente non mi disturba. Anche le pagelle dell’Accademia della Crusca fanno parte del gioco e del divertimento che ruota intorno al Festival.
Nei giorni scorsi è sorta una polemica sul fatto che alcuni autori, o co-autori, hanno scritto i testi di più canzoni in gara al Festival. Tu sei co-autore di tre brani. Un tuo commento.
La polemica ha cercato di far passare l’idea che al Festival di Sanremo esista una sorta di casta, un circolo ristretto di autori, con alcuni dei quali io peraltro collaboro, che si occupano della scrittura di tutte le canzoni. In realtà, questi sono gli autori della maggior parte della canzoni di successo durante tutto l’anno. Se si vanno a controllare le classifiche degli ultimi tre-quattro anni su Spotify, emergono sempre gli stessi nomi. Questo perché si tratta dei migliori autori italiani, ed è assolutamente normale che vengano scelti anche per le canzoni di Sanremo. La musica è un’industria: le canzoni vengono scelte perché funzionano, non in base ai nomi degli autori.
Ci sono giovani autori in rampa di lancio?
A me piacerebbe molto vedere emergere nuovi giovani autori. Le case discografiche, durante la loro ricerca, riscontrano però delle carenze: c’è chi sa scrivere testi ma non riesce a ricavarne una canzone perché non ha senso del ritmo, chi crea buone melodie ma fatica con i testi. All’interno del mondo discografico questo è un tema importante: servono nuovi autori bravi come quelli che scrivono le canzoni del Festival. Autori capaci di realizzare dei mix di parole e musica che funzionino. Io spero che ce ne siano e che vogliano mettersi in gioco molto presto.
In una scala di valori, dove collochi il Festival di Sanremo rispetto alle altre esperienze artistiche, facendo ad esempio un confronto con le esperienze vissute all’estero?
Senza dubbio il Festival è l’evento più importante dell’industria musicale italiana, quindi ha la massima importanza. A livello internazionale ho collaborato con artisti di fama mondiale, ma si tratta di esperienze che non hanno niente a che vedere con Sanremo. Io personalmente preferisco il Festival perché c’è l’italianità di mezzo; potrebbe sembrare un cliché, ma in realtà cambiano tante cose. Durante le grandi esperienze che ho fatto all’estero mi è mancata la convivialità tipica degli italiani. Qui a Sanremo, ad esempio, ci sono tante occasioni per riunirsi e divertirsi: pranzi, cene, feste. Infatti, il vero spirito di Sanremo si vive soprattutto nel post serata. Lunedì sera, ad esempio, Achille Lauro ha affittato un locale all’interno del quale ci sono un piccolo palco e gli strumenti a disposizione. Eravamo in tanti: amici, produttori, direttori d’orchestra. Abbiamo suonato tante canzoni, il pubblico cantava con noi, è stata una bella serata.
Cosa ti aspetti da questo Festival, sia per quanto riguarda il brano che dirigi, sia per gli altri di cui sei co-autore?
Secondo me sono tre belle canzoni. Essendo tre brani di genere diverso, destinati a generazioni differenti, sicuramente ciascuno troverà il suo spazio e verrà apprezzato da una fetta di pubblico. I passaggi in radio, le presenze ai concerti, l’opinione degli ascoltatori e le vendite sulle piattaforme digitali decreteranno il gradimento dei brani nei prossimi mesi. Il Festival è solo l’inizio, dopo questa manifestazione inizia la seconda vita, la vera vita delle canzoni.
Cosa ti aspetti, invece, dal prosieguo della tua carriera artistica?
Mi auguro di poter continuare a fare quello che faccio, perché mi appassiona tanto. Non posso avere certezze, perché è un percorso incerto e fuori dal mio controllo, ma desidero scrivere sempre più canzoni, soprattutto canzoni di qualità, che possano essere apprezzate da me e dal pubblico.
Ti metto di fronte a una scelta: una carriera divertente o il successo?
Per il futuro, l’obiettivo è trovare un equilibrio tra il divertimento e il successo. Il divertimento non basta, perché questo è anche un lavoro: se le cose procedono per il meglio, si può continuare sulla stessa strada e crescere. Io mi diverto tantissimo, provare piacere nello scrivere è importante, ma servono anche riscontri e risultati. In sintesi: il giusto equilibrio, con la bilancia che pende leggermente dalla parte del divertimento, ma sempre con una base solida di fatti concreti.
Complimenti Luca! In bocca al lupo, buon Festival!