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“Un amore di contrabbando”: Nicola Muscas racconta il suo romanzo e il mito Gigi Riva

Nicola Muscas e Alessandra Pontis - © foto Isola online 24

Nicola Muscas, giornalista e scrittore cagliaritano, col suo secondo romanzo Un amore di contrabbando – Gigi Riva, una vita in rovesciata, pubblicato da Mondadori, non regala ai lettori l’ennesima biografia del Mito.

Il romanzo

Questo romanzo può essere invece definito un’indagine sulla figura di Gigi Riva vista attraverso gli occhi di Leonardo Carboni, giornalista e scrittore in crisi. Dopo aver partecipato al funerale di Riva, Carboni decide andare alla ricerca del suo “fantasma“. Prende così avvio un percorso fatto di incontri, viaggi e ricordi, ma anche di speranze, sorprese e amori. Un cammino che lo porta a confrontarsi con le storie di coloro che hanno conosciuto o ammirato il calciatore, rivelando un forte senso di comunità e un legame profondo con la figura di Riva. Emerge così il profilo di un eroe che è diventato mito alla sua maniera: scomparendo.

Il libro va oltre la biografia sportiva, cercando di comprendere l’uomo dietro il campione e il suo impatto emotivo sulla gente. Il titolo, che richiama la frase di Riva «Se non avessi giocato a calcio? Avrei fatto il contrabbandiere» esplora il lato ribelle e tragico del suo carattere.

L’evento

Addetto stampa per festival e eventi culturali in tutta la Sardegna e autore di racconti per quotidiani e riviste, Nicola Muscas ha presentato il suo libro nella Biblioteca comunale di Assemini. L’appuntamento era in calendario all’interno della rassegna Lunedì Lethérario promossa dall’ACTEA (Associazione Culturale Università Terza Età Assemini), rappresentata dal Presidente Basilio Montis, e dall’Assessorato alla Cultura (presente l’Assessora Jessica Mostallino). In platea anche Mario Puddu, Sindaco di Assemini, tifosissimo rossoblù.

Alessandra Pontis (Presidente onorario ACTEA) ha interagito in modo coinvolgente con l’autore, dando vita a un piacevole scambio di domande e risposte che ha successivamente lasciato spazio a un interessante intreccio di aneddoti e ricordi condivisi da alcuni dei presenti.

Isola online 24 ha intervistato l’autore a margine della presentazione.

Nicola, quando è nata l’idea di scrivere questo libro?
Questo libro in realtà ha bussato due volte. La prima volta a gennaio (2024, ndr), quando un editore me lo propone dopo che io scrivo due articoli, uno per il quotidiano Domani e uno per la rivista Undici. Questi articoli girano, vengono letti e condivisi da molte persone e finiscono anche sul tavolo, evidentemente, di alcuni editori. La prima volta non va in porto. Io mi stavo dedicando a un progetto completamente diverso, un romanzo su cui lavoravo da due anni, e volevo concentrarmi su quello. Non mi sembrava una buona idea accantonare tutto per buttarmi su un progetto di questo tipo. Qualche mese dopo Mondadori mi propone di fare questo lavoro. E siccome i miei «no» non sono granitici come quelli di Riva, la seconda volta l’ho preso come un segno: evidentemente questo libro si doveva fare.

Hai deciso fin da subito di raccontare una storia vera attraverso la lente della finzione?
È stato molto complesso trovare la chiave, perché ci sono tante biografie di Riva e io non sono un biografo, voglio fare il romanziere. La chiave dell’invenzione, della finzione, per restituire una storia vera, mi è sembrata quella più adatta, anche se non la più semplice, per affrontare questo viaggio.

Cosa rappresenta questo romanzo? È un modo per ricordare Riva, per sentirlo vivo?
Secondo me è più che altro un tentativo di capire che cosa è stato per noi, che cosa è stato per i sardi e per i non sardi, che valori ha incarnato. Riva è stato tante cose, ed è stato tante cose anche contro la sua volontà, oltre la sua volontà, oltre anche i suoi stessi meriti. Ed è sostanzialmente un’indagine su questo: che cosa è stato per la gente? L’incontro tra personaggi di finzione cerca di rispondere a questa domanda.

Sei in contatto con la famiglia Riva? Hai avuto modo di sapere se il libro è stato letto e apprezzato?
Ho incontrato Nicola due volte: la prima in occasione della presentazione del mio libro a Cagliari e poi a Bologna, alla presentazione organizzata dal Cagliari Calcio. Siamo in rapporti molto cordiali. È stata davvero carina la telefonata che gli ho fatto a dicembre per annunciargli che il romanzo sarebbe uscito, a romanzo già pronto. So quanto i familiari siano spesso richiesti, tirati per la giacchetta, perché tutti vogliono parlare di Riva e chiedere il loro coinvolgimento. Ma quando ho scritto questo libro, che restituisce una storia vera attraverso personaggi fittizi, ho deciso di lasciare in pace le persone a lui più vicine. Avendo perso anch’io mio padre da poco, so quanto possa essere intrusivo mettere sale su una ferita ancora aperta. Credo che Nicola abbia capito questo mio punto di vista, perché c’era molta dolcezza e comprensione nelle sue parole, molta simpatia, nonostante fosse la prima volta che ci sentivamo al telefono. Anche i successivi incontri sono stati molto cordiali, rispettosi e in qualche misura anche distaccati. È sempre stato così per me quando affrontavo il tema Riva. Così come cambiavo marciapiede per strada se incontravo suo padre, anche con Nicola mi piace che il nostro rapporto sia stato instaurato nel giusto modo, senza entrare troppo nel dettaglio, in profondità.

È stato più importante il Riva calciatore o il Riva uomo?
A mio parere è impossibile scindere l’uno dall’altro. Sappiamo bene che Riva non è stato solo un calciatore straordinario che ha permesso al Cagliari di vincere lo Scudetto, ma anche un uomo eccezionale, un uomo morale, come lo definiva Pasolini. Io non sono un fan di chi dice che i sardi sono fatti in un certo modo, come si dice dei napoletani, dei newyorkesi o dei parigini. Però, Riva è stato capace di farsi sardo, incarnando un po’ il nostro modo di essere. Ed è proprio questo che lo ha reso così speciale per noi.

Secondo te Riva si è ritirato a vita privata negli ultimi anni perché non si riconosceva più nei valori della società attuale, del mondo contemporaneo?
In parte può anche essere. Aveva dei problemi fisici che conosciamo, ma è possibile che ci sia anche un’altra ragione, perché è vero che le ultime dichiarazioni che rilasciava — soprattutto sul mondo del calcio — mostravano un certo distacco, come se non lo sentisse più vicino al suo modo di stare al mondo. Però sentivo di recente le parole del figlio Nicola in un podcast molto bello realizzato da Radio 3, nel quale raccontava che negli ultimi anni, quando Riva si è ritirato a vita privata, lo ha fatto non con malinconia, ma con il piacere di godersi gli affetti più stretti. Quindi credo sia stata una scelta più umana, non contro qualcosa: non contro il sistema, non contro la società. Lui ha lottato tutta la vita per scardinare le regole, e credo che negli ultimi anni, in realtà, sia stata proprio una scelta dettata dal cuore, dagli affetti, dai valori, da una sua personale gerarchia. E in cima alla sua gerarchia c’erano, secondo me, le persone giuste, quelle vere, quelle a cui affidarsi per questi ultimi anni.

Che emozione hai provato nei giorni della morte di Riva, in particolare il giorno del funerale?
Personalmente era come se la città avesse subito un taglio netto. Il fratello del protagonista del libro dice che era come svegliarsi senza più la spiaggia, senza più il Bastione, come se Riva fosse un monumento mobile di questa città. E i monumenti noi non siamo abituati a vederli sparire. Invece la sua natura profondamente umana, quella in cui ci siamo riconosciuti e con cui abbiamo empatizzato, ce lo ha portato via. Al contrario dei monumenti, delle spiagge e delle cose che restano. Fare i conti con questo senso di vuoto ha generato, in quei giorni, una sospensione della realtà. C’era un silenzio che aleggiava sulla città. Un silenzio di rispetto, sgomento, partecipazione, lutto. È stato qualcosa di incredibile. Come dice il protagonista di questo libro, la sensazione, nel giorno dei funerali, era che ci passasse davanti l’ultimo pezzo di Novecento. In un’epoca in cui abbiamo tutti delegato la nostra socialità a un mondo virtuale, ritrovarci fisicamente in una piazza, in tanti, riconoscendoci nei valori incarnati da una persona, è stata veramente una magia. Qualcosa che non riescono a fare più i partiti, la Chiesa, i sindacati. Ci è riuscito un uomo dalla parabola eccezionale, e ci ha regalato questo ultimo colpo di coda novecentesco.

Prima hai parlato del ricordo costante, del fatto che a Riva venga continuamente intitolato qualcosa: una piazza, una strada, un murale. Secondo te, lui avrebbe apprezzato tutto questo?
Credo che si sarebbe messo a ridere. Come si sarebbe messo a ridere di questa presentazione del mio libro. Si sarebbe domandato: «Ma perché, in questo bel pomeriggio di primavera, questi non se ne vanno a fare un giro a Monte Arci o al Poetto a godersi il sole?» (ride, ndr). Ma penso che avrebbe accolto tutto con il suo grande aplomb. E intimamente io credo che gli avrebbe fatto piacere, perché l’affetto di cui i sardi lo hanno circondato per tutta la vita ha contribuito a scaldargli il cuore e ad alleviare ferite profondissime che l’infanzia aveva causato.

Cosa pensi della settimana celebrativa che è stata organizzata nel novembre scorso? Doverosa?
Io penso che queste siano questioni che riguardano solo la famiglia Riva. Nicola è stato molto chiaro a riguardo. Secondo me per un compleanno speciale, come quello degli 80 anni, una celebrazione importante poteva starci. Per il futuro, credo che debba essere una decisione esclusiva della famiglia: saranno loro a decidere se ci saranno altre celebrazioni e quanto dovranno durare.